Papa Francesco continua a ricordarci «la testimonianza dei cristiani, vittime di persecuzioni e violenze solo a causa della fede che professano. Soffrono. Danno la vita. E noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza».
Padre Douglas Bazi, dal 2013 è parroco nella chiesa di Mar Elia a Erbil nel Kurdistan iracheno (è qui che noi mandiamo il guadagno della sagra di san Marco di quest’anno, cercando di aiutare i cristiani perseguitati) e dice: «La verità è che non siamo preoccupati tanto di essere uccisi, piuttosto non vogliamo essere dimenticati».
Padre Douglas Bazi nel 2006, mentre era parroco a Bagdad, era già stato rapito. Lo hanno pestato, rotto il naso, spaccato i denti a martellate, lasciato quattro giorni senza bere. Gli dicevano: «Non hai paura di morire? Gli altri ci supplicano, perché tu no?». E lui rispondeva: «Gli altri non sanno cosa sono la vita e la morte». Racconta: «Mi hanno sparato, hanno fatto esplodere la mia chiesa, sono sopravvissuto a diversi attentati. Dopo il mio rapimento, nove anni fa, non ricordo di aver dormito più di due ore a notte senza incubi. Eppure io credo che la Grazia di Dio non si trasmetta senza il perdono. Altrimenti trasmetteremo l’odio e la vendetta».
Quando sente dire «il 6 giugno (il giorno in cui lo scorso anno è arrivato l’Isis a Mosul) abbiamo perso tutto», lui risponde: «Non dite così, dite: il 6 giugno Dio ci ha salvato la vita». Ma dice anche che quando chiede loro cosa pensano di ciò che è accaduto rispondono: «Dobbiamo pregare per i nostri nemici, come ci ha detto Gesù. Dobbiamo perdonarli perché non sanno quello che fanno». Il giornalista chiede a padre Douglas Bazi: «Ma come è possibile che siate senza odio?»
«L’unica risposta sensata è: perché siamo cristiani. Chi sono io per lamentarmi? Chi sono per dire a Dio: perché ci fai questo? Si è cristiani non solo quando le cose vanno bene. Al Papa vorrei dire: grazie per i tuoi pensieri e per le tue preghiere. Ma anche: come cristiani in Iraq non ci arrenderemo mai. Io sono un sacerdote caldeo, so che la mia missione è a rischio della vita. Ma sono chiamato a prendermi cura del mio popolo. E sarò dove sarà la mia gente».
Il giornalista chiede ancora: «Oggi viene lanciato l’allarme per la possibile scomparsa dei cristiani in Medioriente». Padre Douglas risponde: «Noi non apparteniamo a questa terra, noi apparteniamo a Gesù. Solo se avremo coscienza di questa appartenenza potremo testimoniare qualche cosa ed essere utili al nostro paese. Oggi siamo di fronte a un dilemma. La gente rischia la vita e se vuoi salvarla devi farla fuggire.
Qualcuno dice che resteremo fino all’ultima goccia di sangue. Ma dai, il futuro si costruisce trasmettendo ai nostri figli l’amore, la grazia e il perdono. Non con questi discorsi». Veramente impressionante.
Siamo colpiti. Cerchiamo di imparare da questi nostri fratelli che ci sono testimoni della novità umana mostrata nei Vangeli, portatrice di amore e perdono, vera novità in mezzo alla nostra cultura occidentale sempre più malata, smarrita e imbarbarita.
don Carlo Gervasi
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