Maria, le donne, gli umili innalzati
Nunzio Galantino
Ci risiamo. Nel cuore dell’estate la fede della Chiesa ci provoca ad alzare lo sguardo, a contemplare Maria nel compimento del suo cammino terreno. La sua Assunzione non è, infatti, solo il privilegio riservatole perché concepita senza peccato o in quanto destinata a non condividere le sorti degli altri uomini. L’Assunzione di Maria ci indica il “luogo” dove è giunta Colei che non ha rifiutato il servizio, ma ne ha fatto la sua regola di vita; che non è stata estranea alle sofferenze, ma le ha prese su di sé con incredibile forza, come a volte solo una donna sa fare, camminando ogni giorno nella fede e sforzandosi di essere fedele discepola di Colui che aveva generato.
Per questo, la festa che celebriamo ha a che fare con la vita di ciascuno di noi: ci interpella, mettendoci davanti la mèta del nostro cammino e le condizioni per poterla raggiungere.
Guardare a Maria non significa allora distrarci dalle sofferenze che incontriamo attorno a noi, ma prendere sul serio il nostro impegno di solidarietà verso i fratelli e adoperarci per dare vita a un ordine più giusto, che bandisca le troppe discriminazioni tra persone e tra popoli, ormai cristallizzate in strutture economiche e sociali che aumentano le diseguaglianze. Maria, che ha riconosciuto nella fede il prodigio degli umili innalzati e dei poveri saziati, ci incentiva a farci prossimi degli ultimi e ad accogliere chi lascia la sua terra in cerca di dignità e speranza. Lo dico pensando alle tante nostre comunità ecclesiali che in questi mesi hanno aperto la porta a migranti, in fuga dalla guerra, dalla fame e dalla persecuzione: le vedo tutte riassunte nell’immagine di qualche giorno fa, con papa Francesco seduto a mensa con i 21 profughi siriani giunti da Lesbo.
Guardare a Maria vuol dire pensare anche alle tante donne che – pure nelle nostre case – sono oggetto di violenza e sopraffazione e lottare affinché la nostra cultura si lasci alle spalle ogni forma di maschilismo e di prepotenza. Quanto dovrà passare ancora perché la nostra società capisca che l’apporto delle donne è insostituibile, e che solo valorizzando appieno il loro apporto potrà emergere la vera ricchezza dell’umano? Anche la nostra Chiesa, del resto, è chiamata a dare più spazio alle donne, che la storia della salvezza ci indica come interlocutrici privilegiate di Dio.
Guardare a Maria, infine, ci spinge a coltivare uno spirito critico, che non significa giudicare o sentirsi superiori agli altri, ma diventare capaci in ogni momento di chiederci dove sta il bene, di vagliare ogni cosa e tenere ciò che è buono, scartando quanto ci impedisce di essere liberi e di fare la nostra parte per rendere migliore la società in cui viviamo. L’obbedienza che ammiriamo in Maria, infatti, e alla quale ci ispiriamo celebrando questa sua festa, è tutt’altro che passività o rassegnazione.
È invece la forza interiore di chi non dimentica il dono di Dio e le coordinate del vivere umano, e per questo non è disposto a lasciarsi trasportare e fagocitare da logiche individualistiche o da un sottile o sfacciato egoismo; è la determinazione di chi non si rassegna al male, ma lo combatte in sé e fuori di sé; di chi non si sente autosufficiente ma, grato della diversità dell’altro, ne fa un motivo di crescita, aprendosi a un dialogo costante fatto di ascolto, riflessione, confronto, proposte. Per far sì che, in un mondo che vive sempre più in rete, aumenti una reale connessione tra di noi, fatta di interesse genuino e disponibilità sincera, in modo da presentare un giorno a Dio senza vergogna la creazione che ci ha affidato.
Da Avvenire 13/08/2016
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