Centenario parrocchiale 1917-2017: COME NANI SULLE SPALLE DEI GIGANTI

CENTENARIO 1917 – 2017

COME NANI SULLE SPALLE DEI GIGANTI  (1)

don Davide Floreani

Chi era veramente don Davide Floreani primo parroco in Chiavris (dal 1914 al 1950)?
Alcune testimonianze ci raccontano di una fede ed una umanità eccezionale.

La prof.ssa Lucia Toso ha scritto: «Un giorno l’incontrai in via Cormons; ero stanca e preoccupata. Ricordo ancora bene le sue parole dette con un affetto paterno così vivo e commovente: “Avrai molto da soffrire nella vita, ma se ti tieni unita a Dio, per quante tempeste si scatenino nel tuo intimo, ti sentirai sempre in pace. E’ lui la nostra forza, la nostra consolazione. Vedi, anch’io (se sapessi!) quante gravi preoccupazioni ho. Eppure, nel profondo del cuore, ho la pace, una gran pace!”».

Ha raccontato la Sig.na Borletti: «Aveva il dono d’una pietà semplice e profonda.
Quante volte l’osservai: in chiesa, in casa, in qualunque momento del giorno; da sano, da malato; nelle ore liete e tristi, egli era sempre l’espressione di una fede incrollabile ed aveva il dono di comunicarla agli altri… Al mattino era il primo ad alzarsi per celebrare la Messa. Vi si preparava nella fredda sacrestia, la celebrava con impegno amoroso, e dopo si fermava in chiesa a lungo per pregare e meditare incurante del digiuno e del freddo nell’inverno: sapeva che rientrando in casa non avrebbe più trovato il tempo per dedicarsi alla preghiera, chè l’aspettava già una fi la di persone.

E quando la sig.ra Lina gli andava incontro con un richiamo … per le lunghe soste in chiesa, egli usciva con un motto di spirito, oppure si difendeva con queste espressioni: “Sono questi i momenti più belli della giornata.
Certe grazie si ottengono solo con le ginocchia”». Don Davide, ai tempi della Grande Guerra era cappellano militare, fi no a ritrovarsi sul Pasubio con il 158° reggimento di fanteria e poi, nel settembre 1917, venne destinato all’ospedale militare proprio a Udine.

Sul suo diario scrisse il 25 settembre: «Stasera entro definitivamente all’ospedale: è tanto grande, troppo grande, impossibile: 3500 malati e moltissimi gravi … Quanti morti per setticemia». Il mese successivo arrivò la ritirata di Caporetto. Siamo al 26 ottobre, l’ordine del colonnello che dirige l’ospedale è chiaro: «La ritirata è inevitabile. Si parta. Restano  i malati che non possono camminare …»

Ricorda don Davide: «Mi si drizzarono i capelli e mi prese un pianto di rabbia: “Sig. Colonnello, prima di essere ricoverati in questo ospedale, i soldati erano al fronte, hanno dato il loro sangue; se li abbandoniamo, che concetto si faranno di noi i nemici?”. “Chi vuol rimanere?” Nessuno rispose. “Io resto” esclamò il cappellano».

Rimasero circa duemila malati gravi, due medici, cinque suore, don Davide ed una certa signora Gaffi che assisteva il figlio moribondo. Mancavano medicine e viveri, mancava tutto. Don Davide organizzò come poteva, promise salva la vita ad alcuni soldati sbandati dando loro il bracciale della croce rossa …

La Sig.ra Lina, nel proprio diario scrisse il 6 novembre: «Apro la fi nestra e do un grido: è don Davide sul ponte della chiesa che parla con Vigi nonzolo.
Avverto la mamma e scendo di corsa verso di lui. Vengono su in casa, lui e Vigi. Era sfinito e gli tremavano le mani. La veste lacera e sporca di fango, di sangue, di pus. Poveretto! Aveva di sereno solo gli occhi. Da tanti giorni lui e la crocerossina contessa di Colloredo vivevano con la Comunione e pomodori verdi. Lo feci sedere vicino alla mia mamma che sorrideva e piangeva. Gli preparai il latte e un po’ di pane, e fi nalmente il suo stomaco potè sentire qualcosa di caldo».

Il maggiore dei bersaglieri Giovanni Villani (mutilato, medaglia d’argento) descrive bene la situazione nel suo libro di memorie “Come caddi prigioniero”, racconta di quando fu ricoverato all’ospedale di Udine e parla anche di don Davide: «Che dire di quel tempo? Sarebbe vano, inutile, tanto non mi si presterebbe fede. Soffrimmo la fame, la fame più crudele: sino al 23 novembre non vedemmo il più piccolo morso di pane. Le cure mediche erano scarse, troppo scarse. Annegati nel pus, non c’era chi potesse rifarci le fasciature. Solo due medici per tanti feriti erano rimasti. Gli altri? Fuggiti … Mi sento il dovere di riconoscenza di accennare a don Davide Florian parroco di Chiavris. Accorse nel momento tragico a quell’ospedale, fu l’unico che seppe trovare per tutti quei disgraziati una parola di conforto. Egli ogni sera ci portava un fi asco di latte o di vino e lo divideva tra noi. Alle volte un pezzetto di pane o di polenta scondita e fredda; era tutto quello che quell’eccellente uomo poteva darci. Erano generi che la sua vecchia madre preparava per lui …
Oh se tutti avessero fatto la metà di quello che ha fatto lui, quanto minori sarebbero state le sofferenze di quel tempo. E non gli si dà una medaglia?!».

Dobbiamo essere tutti orgogliosi e grati per avere avuto un uomo così come primo parroco a Chiavris!

 


CENTENARIO PARROCCHIALE

Lunedì 31 luglio 1896 erano iniziati in Chiavris i lavori di scavo per la costruzione della nuova chiesa, il 24 settembre dello stesso anno, iniziarono i lavori per le fondazioni del campanile e della sacrestia. Dopo 17 mesi la chiesa che noi conosciamo, era fatta! Nel 1912 iniziarono i lavori per la costruzione della canonica che fu pronta il 30 giugno 1914 e il 13 agosto di quell’anno vi entrava don Davide Floreani. Chiavris era una chiesa fi liale di Paderno. Con decreto dell’Arcivescovo Mons. Rossi, il 1° agosto 1917, in piena Prima Guerra Mondiale, la Chiesa dei SS. Tommaso Apostolo e Marco Evangelista di Chiavris veniva eretta in Parrocchia. A quel tempo la nuova Parrocchia comprendeva anche Vat e Beivars e contava circa 1.800 abitanti. Dopo la fine della guerra, don Davide Floreani fu nominato parroco, il 15 aprile 1919, e si diede subito da fare per far crescere la comunità.

Quindi la nostra Comunità Parrocchiale, questo 1° agosto, compie 100 anni, UN SECOLO!

Adesso siamo nell’anno del centenario, che abbiamo già cominciato a celebrare, con diverse iniziative.Questa occasione, questa data, speriamo sia utile a farci ricordare, ripensare ad alcune cose preziose. La prima è che il cristianesimo non si può vivere da soli, ma insieme ad una comunità, in una comunità: una delle prime cose fatte da Gesù è stata quella di mettere insieme un gruppo di discepoli perché stando con lui, ascoltandolo, seguendolo, guardandolo, potessero imparare e capire cosa fosse ciò che li aveva colpiti e diventare a loro volta testimoni di quella incredibile vita nuova. La comunità cristiana, la Chiesa, è investita di un dono e di un compito importante: rendere presente Dio, in un modo tutto speciale, nella realtà e nella storia delle persone, far conoscere Gesù Cristo ed essere luogo del dono dello Spirito Santo. Questo siamo chiamati a essere anche noi. Oggi, nel nostro tempo, ogni comunità cristiana è chiamata, in mezzo ad un mondo smarrito e violento che attende qualcosa di nuovo, ad una nuova sfida.

Papa Francesco ci invita: «E’ vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura.
La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno. Così annuncia l’angelo ai pastori di Betlemme: “Non temete, ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà per tutto il popolo”» (Evangelii Gaudium, 23).

don Carlo Gervasi