Nella sera di venerdì 13 gennaio la Costa Concordia, grande e modernissima nave da crociera, con oltre quattromila persone a bordo, sbatte su uno scoglio dell’isola del Giglio, si arena, si inclina, è invasa dall’acqua, viene abbandonata con una drammatica e complessa operazione di salvataggio. Ci sono anche numerosi morti.
Le notizie legate a questo evento allo stesso tempo drammatico, tragico e spettacolare hanno invaso i nostri mezzi di comunicazione e noi stessi per giorni, mostrandoci così anche tante vicende di coraggio ed eroismo e, allo stesso tempo, di egoismo o codardia.
C’è la storia di un passeggero disabile salvato da un viaggiatore che ha trascinato la carrozzella verso le scialuppe, del commissario rimasto bloccato ferito a bordo dopo aver aiutato tantissimi altri, di salvagente passati da sconosciuti che ne restano privi, del vicesindaco dell’isola che sale per aiutare mentre tutti cercano di scappare via. Ci sono anche le storie di gente che spinge e passa sopra gli altri per accaparrarsi un posto in scialuppa, addirittura del capitano che ad un certo punto abbandona la nave.
Quando nell’uomo si fa strada la certezza del pericolo e la possibilità di morire, scatta l’istinto di sopravvivenza che fa fuggire come se si fosse un branco di animali inseguito dai cacciatori. Eppure in tanti emerge qualcosa che non è istinto anzi, che va contro la logica della sola ricerca della sopravvivenza, e così c’è chi si ferma ad aiutare un vecchio o dà il proprio salvagente ad uno sconosciuto bambino o torna indietro perché ha sentito un grido di aiuto. Che cosa compare inaspettato, più forte dell’istinto di sopravvivenza? Cosa avrebbe fatto ognuno di noi? In un istante è come se si scatenasse la più grande sfida: vivo solo per me, mi importa solo di salvare me stesso e i miei figli, oppure quel vecchio smarrito in un corridoio buio è come se fosse mio padre e non lo posso lasciare indietro e rischio la vita per lui? …
Chi si comporta così ci viene da chiamarlo eroe perché vi riconosciamo una umanità grande, valorosa, da stimare; riconosciamo cioè una delle leggi fondamentali della verità, della vita, che è il dono di sé. Come sanno ogni mamma e ogni papà, un uomo realizza se stesso dandosi per il bene di un altro che si ama. Il parroco dell’isola del Giglio ha detto che questo è il cristianesimo.
In Gesù ciò che è più profondamente umano è accolto, vissuto, testimoniato fino al dono totale di sé. Come diceva Giovanni Paolo II: “Cristo sa cosa c’è veramente nel cuore di ogni uomo”, perciò nel cristianesimo la legge del dono di sé è diventata la legge di tutta la vita, vissuta, convincente e comprensibile in Cristo e in tutti i testimoni di verità.
C’è un’altra cosa. Tutti siamo rimasti sconcertati dal comportamento del capitano che, contro ogni regola, responsabilità e tradizione marinara, abbandona la propria nave. E’ stato condannato dall’opinione pubblica del mondo intero e quasi tutti in cuor loro pensano: non si può fare una cosa così.
Ma quante volte ognuno di noi abbandona la “nave” del percorso della propria vita?
Quante volte per stanchezza, perché non siamo d’accordo, per reazione, per pigrizia, per malvagità, per smarrimento o perché da soli non ce la facciamo proprio, ci viene da mollar tutto su una cosa o sul lavoro o su un compito che la nostra vita ha?
Quante innumerevoli volte capita nella nostra vita di fare, in grande o in piccolo, come il comandante della nave che abbandona? Ecco, quello che è successo su questa nave ci ha fatto vedere e capire chiaramente che abbandonare per salvarsi vuol dire anche perdere senza rimedio, perdere in umanità, perdere definitivamente.
E non si può far finta di niente. Ma quante volte nel nostro piccolo siamo proprio così?
Eppure nonostante siamo anche noi tante volte così, nel cristianesimo un uomo non è mai perso definitivamente: c’è sempre Uno cui chiedere perdono e un percorso di umanità da seguire per rinascere.
Un’ultima cosa: nella difficoltà che cosa ci aiuta? Tante cose e persone attraverso cui Lui può arrivare a noi, ma sicuramente la situazione più sfavorevole, quella dove è più facile perdersi,
è essere soli.
Infatti la prima cosa che ha fatto Gesù è una compagnia di uomini uniti nel suo nome: si chiama Chiesa. Speriamo di poterci aiutare tutti ad abbandonare la nave il meno possibile.
don Carlo Gervasi
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